Paesi alti




Autore: Antonio G. Bortoluzzi
Editore:Biblioteca dell’immagine
Pagine: 195
Anno: Aprile 2014
Prezzo: € 14,00



 

Paesi Alti

 

Leggere quest’ultimo lavoro di Antonio Bortoluzzi è stato come vedere un film in bianco e nero e sentire il sapore dolce-amaro della nostalgia, dei momenti , dei sentimenti che solo perché del passato ci si sente di annoverarli tra quelli belli o importanti; alcuni lo erano davvero e ci mancano, altri per fortuna sono stati sepolti dalle coperte che il tempo ha steso. Antonio, come per le precedenti sue esperienze, si è dedicato a raccontare il mondo delle sue origini, non tanto concentrandosi sulla storia dei “Paesi alti” quanto sulla galassia degli uomini che li animavano; è stato capace col suo racconto di prendermi per mano e condurmi in un’epoca che, per fortuna o troppo velocemente, se ne è andata anche dai nostri ricordi. Narra delle sue radici, che sono poi quelle di molti di noi o di molti che ci vivono accanto, del periodo del dopoguerra in cui in Italia si stava rialzando la testa, e della vita di una comunità montana dove farlo era ancora più difficile; e fa niente che la storia di Tonin e sua madre , un frammento della loro vita, solo nove mesi, quelli che servono ad Anna Molin ad avere un figlio, quelli che servono a Teresa per spegnersi lentamente, si svolga nelle montagne del Nord; siamo a Rive, un paesino sperduto sulle montagne del bellunese, un paese così sperduto che non aveva nemmeno la targa per annunciarlo, ma potremmo essere, uno tra tutti, a Pizzone tra le montagne di Isernia o un qualsiasi altro paese incastrato sugli Appennini, in Abruzzo come nelle Marche, ognuno di quei vecchi che troviamo seduti sui gradini delle loro case quando di ritorno dai nostri trekking attraversiamo i paesi di montagna potrebbe raccontare una storia simile. Negli anni 50, allora più di oggi, la montagna era povertà e sopravvivenza, chi poteva scappava, chi rimaneva lottava e si faceva scandire la vita dalle stagioni, c’era un tempo di attesa e di speranza, il lungo inverno, ed uno di duro lavoro per assicurarsi il necessario per vivere. Una vita fatta di azioni semplici, ripetute, sempre quelle, passata ad accudire la “fortuna” della famiglia, le vacche, e a cavare dalla terra tutto il resto per vivere, legna per l’inverno, patate, foraggio, mais. Tutto era faticoso e tutto era per l’immediato, il futuro non esisteva, o meglio era il giorno dopo, al massimo la stagione successiva, le illusioni e quello che bastava per darsi una ventata di sicurezza erano poste dentro qualche profondo cassetto o sotto qualche polveroso materasso, pochi risparmi, se non bastasse frutto di ulteriori rinunce. Su questa precarietà il paesino, la società della montagna, si basava, ed i sentimenti tra la gente erano il collante per sopportare ed alzare l’asticella. Raccontando di Tonin, Bortoluzzi , ci parla di uno spaccato di quei tempi, ferma la pellicola e ci inonda di fotogrammi, a volte commoventi, a volte duri, sempre veri, ci regala un momento di vita e di cultura che pensiamo di conoscere ma che è sempre più ruvida e dura di quanto riusciamo ad immaginare; per non dimenticare, perché molti dei nostri nonni quella vita l’hanno davvero vissuta, perché ogni gesto di oggi sia meno superficiale e più rispettoso per chi ha contribuito a farci quello che siamo. Tonin è cresciuto tra sfide e dispetti, sognando l’amore, tra una lista della spesa e l’altra, verso una sua ex compagna di scuola, tra adulti ruvidi e prepotenti, tra buoni propositi e rabbie, aspettando un padre che non tornava mai, “scappato” in Svizzera per cercare lavoro, rispettando e temendo una madre forte come una quercia, vera protagonista di questa storia, donna energica e forte, emblema di un mondo che non esiste più, ed un vecchio amico fonte di tutte le saggezze del mondo ed ha condito tutto con umiltà e solidarietà. Il rispetto per gli altri, soprattutto per gli anziani era un sentimento dettato dalla madre, prima imposto e poi diventato motivo di una vita, come il saluto dovuto sempre e comunque anche a chi era solito non rispondere. E’ una storia semplice quella di Tonin e di sua madre Teresa, una storia tra tante, come tante, povera, nostalgica e maledettamente triste, o meglio ancora, semplicemente dura e ingiusta nel ricordare come esseri umani riuscissero ad arrivare al giorno dopo; ma di un valore assoluto è pregnata ed è questo che la rende attualissima, un valore che oggi è a volte un fardello pesante e molte volte inutile: la dignità. “Non abbiamo che il nostro onore per poter lavorare, entrare nelle case, avere credito,… siamo poveri e con un niente diventiamo morti di fame”. Ma è anche una storia di speranza, una nuova nascita in una piccola comunità è acqua fresca che fa dimenticare le pene, la morte di Teresa che segna inevitabilmente la vita di Tonin, a lungo non ha voluto vedere i segnali dell’inevitabile e la subisce come un’onda d’urto che ti rovina addosso, diventa il passaggio di un’epoca; gli amici, quelli che fino a ieri gli hanno conteso l’esistenza e lo hanno picchiato e preso in giro gli si stringono attorno; ieri rivali, oggi fradèi, fratelli. E la vita riprende a girare! Quel momento storico difficile e faticoso non esiste più, per fortuna, ma non tutto era da buttare!

 

 

 

 

 


Scritto da: Doriano Rasicci


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